venerdì, Novembre 27, 2020

RETROSCENA – Ma tra Roma e Parigi salgono le tensioni sui salvataggi bancari……

da 27 nov 2020

di Federico Fubini

Le posizioni di Italia e Francia in Europa, almeno in politica economica, da qualche tempo sono così vicine che è difficile passare un foglio di carta fra le due. In parte discendono da sensibilità e problemi comuni sui conti pubblici, sui doveri di una banca centrale e su come l’area euro va consolidata.

In parte da 520 acquisizioni di imprese fra i due paesi dal 2007, con le italiane spesso (non sempre) in veste di preda. Da un anno, tutto questo e la familiarità fra i dirigenti ha avvicinato molto i due Paesi. Fino a ieri, nella fase discendente della crisi da Covid. Ora la prospettiva dei vaccini, quella del Recovery Fund e l’opportunità di nuove conquiste industriali o finanziarie in una stagione di valutazioni depresse – più tassi zero sulle scalate a debito sposta gli equilibri. E stende delle ombre. Non è più il momento in cui Roma e Parigi facevano fronte comune per montare le difese contro una recessione apocalittica. In vista di una ripresa da disegnare, certi scogli tornano fuori e la visita ieri del Ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire al collega Roberto Gualtieri a Roma non li ha rimossi.

L’INCHIESTA

Così Francia e Italia si stanno fondendo sul piano produttivo: da Psa-Fca a Luxottica (e la moda)

di Federico Fubini

Le differenze sono innegabili. Il governo francese ha già presentato una versione del suo Recovery Plan e non apprezza che l’Italia esiti con il proprio. Parigi ha fretta di portare gli italiani a bordo dei suoi progetti europei: idrogeno, cloud con Gaia-X, rete mobile 5G, sistemi di pagamento. In Francia non si capisce perché il governo italiano esiti, vista la durezza della crisi. Ma a Roma non si capisce perché agganciarsi sempre a progetti francesi in aree dove l’Italia ha già un vantaggio competitivo, per esempio sui sistemi di pagamento.

FINANCIAL TIMES

La guerra delle batterie (e dei metalli rari) che dovranno far viaggiare la “rivoluzione verde”

di Luca Angelini

Ci sono poi aspetti più delicati. Secondo vari osservatori, giorni fa la Francia ha trovato un terreno comune con la Germania e firmato un documento con lOlanda, il Paese più rigido. Tema: le banche e la gestione dell’ondata di crediti in default per oltre mille miliardi di euro che questa recessione tornerà a creare in Italia e nel resto dell’area. Riservatamente, fra Parigi e l’Aia si profila l’idea di chiudere tutte le strade aperte dal Governo italiano negli ultimi anni per salvare l’operatività delle banche in crisi senza falcidiare investitori e risparmiatori in base ai vincoli europei.

La proposta franco-olandese, ben vista a Berlino, impedirebbe le soluzioni con cui vari governi italiani hanno limitato lo choc degli interventi su Monte dei Paschi, Popolari di Vicenza e Veneto, Etruria e le altre. Si mira infatti a limitare la possibilità che ci siano aiuti di Stato in caso di liquidazioni. Si chiede che si applichi il massimo della sforbiciata possibile su investitori e depositanti, anche quando una banca viene sostenuta da un sistema nazionale di tutela dei depositi. Si cerca di limitare le ricapitalizzazioni pubbliche «precauzionali», come quella che salvò Mps, solo a banche che si sottopongano a verifiche europee stringenti sulla situazione attuale dei bilanci e le prospettive future. E si pensa a verifiche simili per molte banche minori.

In Italia qualcuno sospetta che a Parigi si stia cercando di chiudere le scappatoie per i salvataggi, in modo da gettare le basi di una nuova stagione di acquisizioni di banche italiane in difficoltà da parte di Bnp Paribas, Société Générale o Crédit Agricole. A Parigi si lamenta che a Roma non si lavora abbastanza per preparare la ripresa. Di certo la recessione da Covid farà vincitori e vinti. E che entrambi i Paesi si ritrovino ancora una volta dalla stessa parte della linea di faglia, resta tutto da dimostrare.

FINANCIAL TIMES

La guerra delle batterie (e dei metalli rari) che dovranno far viaggiare la “rivoluzione verde”

di Luca Angelini 25 nov 2020

Il problema è noto: le energie rinnovabili, come eolico e fotovoltaico, sono per loro natura intermittenti. Il vento non soffia sempre e il sole non splende di continuo. Quell’energia va, insomma, immagazzinata per poter essere utilizzata quando serve. Un mondo che va (per fortuna) sempre più ad energia rinnovabile ha sempre più bisogno di batterie per marciare senza inciampi. La rivoluzione verde dovrà, per così dire, andare a pile. Henry Sanderson ha provato a fotografare, sul Financial Times, la corsa all’accumulazione (di energia).

Il punto di partenza non potevano che essere le batterie a ioni di litio (quelle, tanto per capirci che fanno funzionare tanto i nostri smartphone che le auto elettriche, tipo le Tesla di Elon Musk). Sono la tecnologia più usata e sulla quale si sta investendo di più. Ma non è priva di controindicazioni. A partire dal rischio di incendi nei grandi impianti a supporto delle reti elettriche esistenti: in Corea del Sud ce ne sono stati 33 soltanto fra il 2017 e il 2018.

Un’alternativa sono le batterie che utilizzano il vanadio, che la Nato aveva iniziato sviluppare già negli anni settanta del secolo scorso: hanno una durata di vita più lunga di quelle al litio, fino a 30 anni. E praticamente nessun rischio di incendio, visto che si basano su elettroliti liquidi. Il guaio è che il prezzo mondiale del vanadio è alquanto volatile (nel novembre 2018 era di 127 dollari al chilo, oggi di 25, ma è un ottovolante, più che una linea di tendenza) e anche questo introduce incertezza in un settore che ha invece bisogno di sicurezze.

Batterie, l’alleanza dell’Ue. Obiettivo: 15 gigafactory entro il 2025 in grado di produrre celle per 6 milioni di auto elettriche

di Francesca Basso

Maros Sefcovic, vicepresidente della Commissione Ue

Ci sono, perciò, tentativi di utilizzare, per le batterie, materiali più diffusi, come alluminio, zolfo, calcio e antimonio. Ma i passi avanti sono complicati perché, come dice al FT Donald Sadoway, docente canadese di chimica al MIT, «questa è tecnologia dura, industria pesante, non è come scrivere un codice».

Per questo c’è chi ha pensato a fare del tutto a meno delle batterie, pensando a soluzioni «naturali».

La più classica delle quali è pompare acqua in un bacino in alto, utilizzando i picchi di energia disponibile in eccesso, e farla precipitare in basso, azionando turbine elettriche, quando serve riempire i «buchi» tipici delle rinnovabili. Un’alternativa è innalzare e far precipitare, allo stesso scopo, grossi massi o pesi in miniere dismesse, collegati a verricelli per generare elettricità (approfondimento sul sito rinnovabili.it).

Sanderson è stato, però, anche in un impianto della Siemens Gamesa, vicino ad Amburgo, sul cui enorme muro campeggia la scritta «Benvenuti alla nuova età della pietra». La pietra in questione sono mille tonnellate di rocce vulcaniche provenienti dalla Norvegia che, preventivamente riscaldate fino ad almeno 600°C, possono immagazzinare sotto forma di calore 130 megawattora di energia (abbastanza per riscaldare 3 mila abitazioni o per far viaggiare 750 auto elettriche) anche per una settimana. Secondo Hasan Oezdem, capo del progetto, il modello potrebbe essere replicato in molte Centrali Elettriche a Carbone in via di smantellamento.

Per lo stoccaggio a lungo termine di energia ci sono, poi, le pile a idrogeno. Serve però molta energia per ricavare quest’ultimo dall’acqua. E andrebbe poi immagazzinato in cavità sotterranee o in giacimenti esauriti di gas e petrolio. Altri progetti prevedono di utilizzare aria liquida raffreddata a -196°C e poi riscaldata per azionare turbine; batterie basate su metalli liquidi; sali disciolti come immagazzinatori di energia termica. Insomma, la soluzione definitiva ancora non c’è, ma si stanno accendendo diverse lampadine.

Batterie, l’alleanza dell’Ue. Obiettivo: 15 gigafactory entro il 2025 in grado di produrre celle per 6 milioni di auto elettriche«Una storia di successo», «un esempio formidabile di collaborazione franco-tedesca».

di Francesca Basso

Le parole sono del Ministro dell’Economia tedesco Peter Altmaier, padrone di casa della Conferenza europea sulle batterie, che ha celebrato l’alleanza Ue lanciata nel 2018 dalla Commissione su impulso di Parigi e Berlino. «Il più importante progetto industriale europeo dopo Airbus», secondo il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire. Oltre mille partecipanti in streaming. Tra gli speaker anche Elon Musk, che vicino a Berlino aprirà una fabbrica Tesla, e il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli.

I due progetti

L’Italia partecipa ai due progetti europei di interesse comune (Ipcei) sulle batterie: il primo è stato approvato lo scorso dicembre e vede la Francia alla testa di altri sei Paesi (oltre a noi, Germania, Svezia, Belgio, Finlandia e Polonia) più 17 gruppi industriali; il secondo, in fase di valutazione della Commissione, è promosso dalla Germania e coinvolge altri 11 Paesi (oltre a noi, Francia, Austria, Belgio, Polonia, Svezia, Croazia, Grecia, Slovacchia, Spagna, Finlandia) e 50 imprese che coprono l’intera catena del valore. «Sono in costruzione in tutta Europa, incluse Italia, Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Svezia, 15 gigafactory», ha spiegato nella conferenza stampa, con Altmaier e Le Maire, il vicepresidente della Commissione Ue Maros Sefcovic, ”padre” dell’alleanza Ue delle batterie. «Questi impianti — ha proseguito — forniranno entro il 2025 celle sufficienti per alimentare almeno 6 milioni di veicoli elettrici». Sefcovic è fiducioso che «per quella data l’Ue sarà in grado di soddisfare le esigenze dell’industria automobilistica europea».

L’Italia

«L’Italia sostiene sia i progetti già lanciati che quelli allo studio — ha spiegato Patuanelli — perché intervengono nei settori su cui vanno subito mobilitati i maggiori investimenti iniziali, cioè quelli che avranno a termine le maggiori ricadute in termini di sviluppo sostenibile». Il Ministro ha anche ricordato che «l’Italia ha raccolto la sfida delle batterie di nuova generazione. Il Paese vanta una base industriale importante nella manifattura di batterie tradizionali, assemblaggio di pacchi batteria e nel riciclo delle batterie a fine vita. E il ministero dello Sviluppo ha già assunto diverse iniziative per promuovere l’integrazione delle imprese italiane nella catena del valore europea».

L’alleanza

L’alleanza è stata creata per costruire una catena del valore delle batterie europea competitiva a livello globale, innovativa e sostenibile. «Il valore di mercato previsto entro il 2025 è di 250 miliardi — ha ricordato Sefcovic —. Con oltre 500 attori industriali, l’alleanza è diventata un successo in soli tre anni, trasformando l’Europa in un hotspot globale per le batterie. Nel 2019 ha attratto circa 60 miliardi di investimenti e 25 miliardi finora nel 2020».

Indipendenza strategica

Per Altmaier «solo un progetto europeo può avere successo nel lungo termine» e per Le Maire «l’Europa quando è unita può vincere la battaglia della sovranità tecnologica del ventunesimo secolo», «non possiamo dipendere sistematicamente dalla produzione cinese o americana». Per il ministro francese è fondamentale «rilocalizzare la tecnologia in Europa e accelerare la transizione dell’industria automobilistica europea» verso la produzione di veicoli elettrici per arrivare alla decarbonizzazione del parco auto. Ma l’Ue deve avere anche un «obiettivo verde: creare una filiera di batterie la più rispettosa possibile dell’ambiente». Punto centrale anche per Patuanelli, per il quale bisogna «puntare sugli standard di qualità, sicurezza, e anche sulla sostenibilità lungo l’intera catena del valore della batteria, dal sourcing delle materie prime, al processamento dei materiali, alla produzione, riutilizzo e riciclo delle batterie a fine vita».

Nuovo standard globale

Ora serve un adeguamento del quadro normativo. La Commissione a dicembre presenterà una proposta per garantire che «solo le batterie più ecologiche e sicure arrivino sul mercato dell’Ue — ha anticipato Sefcovic—. Stabilirà de facto uno standard globale in uno dei mercati mondiali in più rapida crescita».

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