mercoledì, Giugno 22, 2022

Il grande rebus del gas, come staccarsi dalla Russia…….

MF FOCUS

LEuropa, e l’Italia, dipendono fortemente dalle importazioni da Mosca. Ma, come mostra uno studio di Cesi sullo sviluppo delle rinnovabili, in tre anni se ne potrebbe fare a meno.

da del 22.06.2022

È possibile diventare indipendenti dal gas russo? E come riuscirci il prima possibile? Al grande rebus ha provato a dare risposta l’ultima puntata della trasmissione di Class Cnbc Italia 4.0, durante la quale sono intervenuti Matteo Codazzi, amministratore delegato di Cesi, Azienda leader mondiale nei servizi di ingegneria e consulenza nel settore energeticoLaura Cozzi, chief energy modeller dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, e Nicola Armaroli, research director del Cnr.

                                                      Dall’alto a sinistra, Matteo Codazzi, amministratore delegato di Cesi;Laura Cozzi,                                                                                                                    chief energy modeller dell’Agenzia internazionale dell’energia: Nicola Armaroli                                                                                                                    research director del Cnr.

TRE ANNI PER L’INDIPENDENZA

Cesi ha elaborato uno studio per capire se e come una maggiore penetrazione di rinnovabili nel sistema elettrico italiano possa ridurre l’importazione di gas naturale dalla Russia entro il 2025. Per affrancarsi dal gas russo, ha sottolineato Codazzi, «non esiste una soluzione unica, le rinnovabili servono se sono integrate con altre misure. Ne breve termine le leve a disposizione dell’Europa, e dell’Italia in particolare, sono limitate. E il governo le sta implementando tutte. Diverso, invece, è ragionare su una prospettiva di medio termine, per i prossimi 2-3 anni. Se attuassimo uno sviluppo progressivo di nuove rinnovabili per almeno 40 Gigawatt, oltre all’installazione di nuovi sistemi di accumulo per circa 5,7 Gw, così da rendere flessibile la produzione di energia rinnovabile rispetto ai vincoli di rete, ebbene tutto questo sarebbe sufficiente a raggiungere, insieme alle altre misure, la totale indipendenza dal gas russo»

«Anzi, ci sarebbe un margine per far fronte a eventuali ritardi nell’implementazione dei nuovi rigassificatori o ad altri rischi esterni. Non è un obiettivo banale, ma si tratta di un ritmo annuale di installazione di rinnovabili non molto diverso da quello che l’Italia, in ben altre situazioni di scenario, aveva realizzato circa un decennio fa. Con 40 Gw in più si arriverebbe a produrre circa 65 Terawatt ora di energia pulita (per altro a un prezzo fisso pluriennale) che rappresentano circa il 20% della domanda italiana di energia elettrica. Ci consentirebbero un risparmio equivalente a circa il 45% dell’attuale importazione dalla Russia».

IN CERCA DELL’EFFICIENZA ENERGETICA

Anche lAgenzia internazionale dell’energia ha indicato una serie di azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre da subito la dipendenza dal gas russo. «La strategia», ha illustrato Cozzi, «si basa sostanzialmente su tre pilastri. Il primo è la diversificazione degli approvvigionamenti, individuando immediatamente altre fonti, o attraverso gasdotti esistenti o di gas naturale liquefatto, come è stato fatto a livello europeo con gli Stati Uniti e a livello italiano con l’Algeria e altri supplier. Il secondo consiste nell’assicurarsi che a ottobre/novembre i nostri serbatoi di stoccaggio siano riempiti almeno al 90%, per essere in grado di affrontare qualsiasi scenario. Il terzo, il più importante, ha a che fare con la domanda: bisogna spingere di più sulle energie rinnovabili e sull’efficientamento energetico degli edifici (gran parte del gas naturale in Italia e in Europa è infatti utilizzato per riscaldare gli edifici)». «Il governo italiano», ha aggiunto lad di Cesi, «sta facendo bene a sostituire nell’immediato il gas russo, aumentando di circa 2 miliardi di metri cubi l’estrazione di gas nazionale e massimizzando l’apporto da altri fornitori come l’Algeria o l’Azerbaijan. L’accordo con l’Algeria permetterà di ricevere tra il 2023 e il 2024 circa 9 miliardi di metri cubi all’anno in più con il gasdotto Transmed; un altro miliardo e mezzo di metri cubi dovrebbe arrivare dal Tap. Complessivamente però questi volumi valgono poco più del 40% dei 29 miliardi di metri cubi di gas russo importati nel 2021. Un’ulteriore soluzione è l’utilizzo a piena capacità dei rigassificatori esistenti, che consentirebbe l’approvvigionamento di 5-6 miliardi di metri cubi in più all’anno, che salirebbero a 10 miliardi in caso realizzazione di nuovi rigassificatori (ma servirebbero dai 2 ai 4 anni per realizzarli). Insomma, anche aumentando della produzione nazionale, adottando soluzioni di risparmio energetico, diversificando le fonti di approvvigionamento, il fabbisogno residuo dalla Russia, al 2025, sarebbe comunque di 3 miliardi di metri cubi. Attraverso l’installazione delle rinnovabili e dei sistemi di accumulo secondo il nostro piano, invece, si potrebbe garantire un margine di sicurezza residuo di circa 6 miliardi di metri cubi».

UNA DIPENDENZA CHE VIENE DA LONTANO

Armaroli ha ricordato come la dipendenza dell’Italia dal gas russo abbia origini lontane: «Bisogna risalire agli anni ‘60-‘70 quando sono state create le interconnessioni tra l’Europa e i nuovi, all’epoca, giacimenti che erano stati scoperti in Siberia. Infrastrutture che sono state create in piena guerra fredda e hanno costituito per decenni una sorta di ponte, di connessione commerciale ed economica che aveva anche l’obiettivo di allentare le tensioni politiche. Poi è arrivato il 2014, con l’invasione della Crimea da parte della Russia, ma lItalia che già dipendeva molto dalla Russia, ha aumentato la sua dipendenza. E le importazioni sono passate dal 25 al 40%. Il motivo è esclusivamente economico: il gas russo era il meno caro, viaggiava su infrastrutture già ammortizzate ed era anche di ottima qualità». Non a caso nel mix energetico italiano la parte preponderante è rappresentata dal gas naturale (42%), una quota decisamente più alta rispetto a Germania (26%), Spagna (23%) e Francia (17%). «Ogni paese ha una storia a sé», ha sottolineato Armaroli, «in Germania ha un peso importante il carbone (15%), in Spagna il petrolio (44%), mentre in Francia il nucleare (36%). Questo spiega anche perché è difficile trovare una politica energetica comune in Europa». Per concludere, ha sottolineato Codazzi, «nel breve e medio periodo, purtroppo, non ci sono grandi alternative al gas e al petrolio russo (che è stato messo parzialmente sotto embargo nel sesto pacchetto di sanzioni della Ue). Occorre accelerare ulteriormente la transizione energetica se volgiamo uscire da questa situazione il prima possibile. Servono rinnovabili, efficienza energetica, bio-combustibili, idrogeno verde, e sul lungo termine anche il nucleare di quarta generazione».

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