giovedì, Dicembre 5, 2019

IL RETROSCENA-Ex Ilva, la contromossa del governo: pronti al sostegno ma via gli esuberi

di Rita Querzé e Lorenzo Salvia

Roma, 05 dic 2019 da Corriere Web-Economia

«Respinto». Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha liquidato il piano presentato ieri da Arcelor Mittal. Già definito «irricevibile» dai sindacati. Ora però si avanti a trattare. Anche perché incombe la scadenza del 20 dicembre, con l’udienza al tribunale di Milano sulla causa civile tra commissari straordinari e azienda. Ed entro quella data è necessario capire se la trattativa può arrivare da qualche parte.

Due appuntamenti formali sono già fissati nelle agende: martedì 10 e venerdì 13 dicembre. Contatti informali sono già in corso. Della delegazione guidata dal manager Francesco Caio in rappresentanza del governo fanno parte i tre commissari Ilva e i loro avvocati, il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, il vice capo di gabinetto del Mise Francesco Fortuna e il consigliere economico del Mef Marco Leonardi.

Il governo non ha nessuna intenzione di presentare una contro proposta formale ad ArcelorMittal. E questo perché non vuole rimanere con il cerino in mano. L’obiettivo è evitare che la responsabilità degli esuberi, politicamente molto scivolosa, finisca per cadere su di sé e non sull’azienda che li pretende.

Già in queste ore il governo ha chiesto ad ArcelorMittal di cambiare radicalmente il piano presentato mercoledì scorso. Primo nodo: per i franco-indiani i 4.700 sono «redundancies», esuberi. Arcelor Mittal non vuole per loro la cassa integrazione, chiede che non siano più in carico all’azienda. In concreto: licenziamento e passaggio ad Ilva in amministrazione straordinaria o alle attività legate al «progetto Taranto» per il rilancio della città. Lo Stato invece caldeggia la strada degli ammortizzatori e degli incentivi all’esodo per gli operai. Purché nel medio periodo ci sia l’impegno a mantenere gli organici. Per questo il governo chiede ad ArcelorMittal di aumentare la produzione di acciaio e di arrivare a 8 milioni di tonnellate nell’arco dei prossimi tre anni. Quasi il doppio rispetto ad oggi. Un livello, però, che consentirebbe di far tornare progressivamente tutti al lavoro.

L’intervento dello Stato si gioca anche su un altro tavolo, quello della decarbonizzazione, cioè della possibilità di produrre con livelli più bassi di inquinamento. Il governo sarebbe pronto a supportare gli investimenti per un nuovo forno elettrico e per un impianto per la produzione di Dri, acronimo che sta per Direct reduced iron, il preridotto che serve a caricare i forni elettrici. D’altra parte, però, pretende dai Mittal il mantenimento dell’impegno a rifare l’altoforno 5 (investimento stimato: 250 milioni). Questo garantirebbe l’attività dello stabilimento per almeno 15-20 anni.

Per quanto riguarda i tanti annunci di nazionalizzazione più o meno mascherata sentiti in questi giorni, in realtà il tema è complesso. È vero che il governo sta studiando la possibilità di una partecipazione da parte di Fincantieri o di Invitalia. Ma è anche vero che un intervento diretto di queste due società pubbliche, a certe condizioni, potrebbe essere stoppato dall’Unione europea come aiuto di Stato, con relativa procedura d’infrazione.

Era già successo poche settimane fa quando si dava per scontato l’ingresso di Cassa depositi e prestiti, tralasciando il piccolo dettaglio che per statuto Cdp un’operazione del genere non la può fare. L’intervento pubblico ci sarà, ma probabilmente avverrà in forma indiretta, ad esempio con la garanzia pubblica della commesse, che in questo momento scarseggiano.

In tutto questo pare scomparsa dai radar la discussione sul cosiddetto scudo penale. Che però Arcelor Mittal continua a rivendicare come necessario.

 

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