sabato, Novembre 30, 2019

Nel ricordo del giudice ragazzino vittima di mafia, Francesco e la crisi del potere giudiziario

Incontrando il Centro Studi “Rosario Livatino”, il papa suggerisce vie per ritrovare la giustizia

Francesco riceve in udienza i giuristi del Centro Studi Rosario Livatino

di Carlo Di Cicco

Ci vuole un soprassalto di etica per uscire dalla crisi della giustizia e farla tornare pienamente affidabile agli occhi della gente. Lo ha detto papa Francesco parlando ai partecipanti del convegno nazionale sul tema “Magistratura in crisi. Percorsi per ritrovare la giustizia”. Convegno promosso dal Centro Studi “Rosario Livatino” fondato nel 2015.  Un discorso non lungo quello del papa e neppure molto elaborato dove all’enunciazione di principi, ha preferito sostanzialmente mettere a fuoco un modello di magistrato all’altezza dei tempi. Per Francesco la voce di Rosario Livatino il “giudice ragazzino” come lo chiamò il presidente Cossiga, non è stata spenta sotto i colpi della mafia che lo assassinò nel 1990 in una solitaria campagna catanese, ma risuona ancor più forte e significativa oggi che la l’amministrazione della giustizia e la crisi della magistratura attende una scossa morale.

Chi non ricorda il memorabile appello di Wojtyla rivolto nella Valle dei templi ai mafiosi invitandoli a conversione per non incorrere nel giudizio di Dio? Erano passati soltanto tre anni dall’uccisione del giudice, ma la sua professionalità e coerenza era già diffusa al punto che, allora, ispirò l’invettiva papale nei confronti degli “uomini della mafia”. Lo lascia intendere Francesco che ricorda proprio l’incontro che san Giovanni Paolo II ebbe con i genitori di Livatino poco prima dell’appello. Del resto era stato lo stesso papa polacco a definire il giovane magistrato (rimasto ucciso a soli 38 anni) un “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Forse questa definizione ha favorito l’avvio della causa di beatificazione di Livatino del quale si è concluso da poco positivamente il processo a livello diocesano. Ora viene considerato “servo di Dio” mentre gli incartamenti della causa sono stati inviati in Vaticano per procedere verso la beatificazione e canonizzazione.

Rosario Livatino, pertanto, agli occhi di Francesco “continua ad essere un esempio, anzitutto per coloro che svolgono l’impegnativo e complicato lavoro di giudice. Quando Rosario fu ucciso non lo conosceva quasi nessuno. Lavorava in un Tribunale di periferia: si occupava dei sequestri e delle confische dei beni di provenienza illecita acquisiti dai mafiosi. Lo faceva in modo inattaccabile, rispettando le garanzie degli accusati, con grande professionalità e con risultati concreti: per questo la mafia decise di eliminarlo”. Francesco indica richiamando l’esempio di Livatino la prima qualità di un giudice che dovrebbe essere inattaccabile e altamente professionale.

Ma vale questo anche per tutti coloro che operano nel campo del diritto che devono essere in grado di farsi carico con pari professionalità di fronte alle sfide giuridiche attuali. A tale proposito Francesco richiama una delle tante questioni che inquietano e dividono la pubblica opinione, quello di come porsi di fronte all’eutanasia. Due visioni quasi contrapposte tra favorevoli e contrari, ma di fronte a un problema così significativo della vita umana gli opposti integralismi non giovano a nessuno. L’ascolto è la prima soluzione del problema. A tal proposito si potrebbe citare un grande maestro di vita e non violenza come Gandhi, secondo il quale le condizioni imprescindibili richieste per praticare l’eutanasia senza che venga commessa violenza sul paziente sono una malattia terminale, il non poter fare più nulla per salvare la sua vita, l’incapacità acquisita di esprimere liberamente la personale volontà.

Papa Francesco preferisce richiamarsi al pensiero di Livatino “per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”. Riferendosi alla questione dell’eutanasia, e riprendendo le preoccupazioni che un parlamentare laico del tempo aveva per l’introduzione di un presunto diritto all’eutanasia, egli – narra Francesco – faceva questa osservazione: «Se l’opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana […] è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l’opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni “indisponibili”, che né i singoli né la collettività possono aggredire”.

Queste considerazioni afferma il papa “sembrano distanti dalle sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici. Pronunce per le quali l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato; o che – secondo una giurisprudenza che si autodefinisce “creativa” – inventano un “diritto di morire” privo di qualsiasi fondamento giuridico, e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sé stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza”.

Infine lo statuto morale di chi è chiamato ad amministrare la giustizia. Il magistrato ricorda Francesco utilizzando parole di Livatino “altro non è che un dipendente dello Stato al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi, che quella società si dà attraverso le proprie istituzioni». E ciò può essere fattopur rimanendo identica la lettera della norma” utilizzando “quello fra i suoi significati che meglio si attaglia al momento contingente».

Francesco confessa di ritrovarsi nella riflessione di Livatino che ha testimoniato quanto la virtù naturale della giustizia  “esiga di essere esercitata con sapienza e con umiltà, avendo sempre presente la dignità trascendente dell’uomo”  chiamato a scegliere. Livatino ha lasciato un esempio luminoso di “come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge”.

 

30 novembre 2019

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