domenica, Novembre 29, 2020

Renato Zero: “Ho portato sul palco la mia solitudine, chi l’ha sentita ha trovato casa”….

Renato Zero si racconta a Mara Venier a Domenica In. L’intervista si trasforma in un’intima conversazione in cui, con grande sensibilità, l’artista dice la sua sul tempo di pandemia che stiamo vivendo dal punto di vista delle generazioni più vulnerabili, dai bambini agli anziani: “Dobbiamo preservare la loro saggezza, la loro bellezza è che non guardano mai l’orologio”.

da NEWS 29 NOVEMBRE 2020 15:08

di Andrea Parrella

Renato Zero ospite di Domenica In, a due anni dall’ultima volta nel salotto di Mara Venier. L’artista, che da poco ha festeggiato 70 anni, ha presentato il suo ultimo lavoro discografico “Zerosettanta”che celebra appunto l’anniversario e un traguardo di carriera. L’amicizia con Mara Venier e l’intimità della trasmissione, hanno permesso a Zero di raccontarsi nella sua solita chiave intimista, affrontando da un punto di vista laterale, tipico del cantante romano, molte questioni che stanno riguardando la nostra contemporaneità, in crisi a causa della Pandemia. “Forse domani avremo più rispetto della vita”, dice Renato Zero, dedicando un pensiero alle fasce più anziane della popolazione:

“Dobbiamo preservare gli anziani. Al di là del Covid dobbiamo sempre tenerli presenti, allontanarli da quella panchina che diventa per loro un capolinea. Io sono cresciuto con una nonna che mi ha fatto anche da mamma, visto che i miei genitori lavoravano molto e la loro frequenza in casa non era garantibile. Dell’anzianità ho assorbito la saggezza, gli anziani hanno di bello il fatto di non guardare mai l’orologio, per loro ogni giorno è l’eternità”.

I bambini e il lockdown

“Esposte a grandi rischi sono però anche le fasce più giovani, quei bambini e ragazzi che vedono stravolta la loro quotidianità, non solo scolastica”.

Ma su questo aspetto Zero esprime un pensiero arricchito di una considerazione ulteriore, che legge questo tempo in un modo più propositivo: “Questa clausura è molto importante per i ragazzi, perché è un prendere consapevolezza dei rischi del vivere. La favola da una parte si mette un pochino a sedere e dà spazio a questa realtà così cruda. È vero che loro non avranno i nostri giocattoli, ma quando incontreranno il giocattolo magari avranno più anni e per loro sarà un trofeo”.

Le circostanze inducono anche una maggiore vicinanza tra figli e genitori:

“Credo che anche vedere i genitori costretti a silenziarsi, porta questi bambini a cercare il conforto, andare verso i genitori cercando di lenire le loro paure. Da una parte dico che è un peccato non vadano a scuola, che non godano delle libertà di giocare a pallone fondamentali nella crescita. Ma i bimbi torneranno a questa consapevolezza e il gioco sarà ancora più importante”.

Renato Zero e la sua solitudine

L’intervista con Mara Venier tocca gli aspetti più vari della vita di Renato Zero, anche quella del rapporto viscerale tra l’artista e i suoi seguaci, che a suo modo di vedere nasce dalla condivisione di un sentimento e dalla comprensione: “La mia solitudine saliva sul palco e tutti coloro che sentivano questa mia solitudine hanno trovato casa, si sono impossessati del mio messaggio, della mia inquietudine, del fatto che il successo non sempre, o quasi mai, vada a colmare vuoti che sono costitutivi. La solitudine l’ho così compresa e talmente apprezzata, che questo mi ha reso una sorta di riscatto presso la chiesa. La solitudine ci aiuta a comprendere meglio noi stessi e gli altri.”

Il pubblico, appunto:

“Il mio pensiero va a loro, in silenzio. Un silenzio di gratitudine, di conforto, di carezze, per molti di loro che sono venuti lì e si sono trasmessi questa fede, questa bella abitudine di venirmi a trovare, questo fatto che un padre possa aver consegnato al figlio l’eredità di un pentagramma, di una storia, di una vita, che non è marginale perché noi la musica la consideriamo così leggera ma che leggera non è. Questa canzonetta ha fatto delle cose al suo passaggio veramente meravigliose e io vorrei ringraziare tutti i miei amici, da De André a Paoli, Sergio Endrigo, Modugno, Dalla, Battisti, perché si decide di fare questo soprattutto per gli esempi, che in questo paese sono sempre meno. Io sono stato un piccolo esempio, una piccola luce nel buio, ma loro sono un faro”.

Il “delirio” del padre sul letto di morte

Un altro passaggio molto intenso quello dedicato a suo padre, quando Mara Venier gli ha chiesto quale sia stato il momento più felice della sua vita: “Non direi più felice, ma dove ho avuto l’opportunità di sentirmi in qualche modo in una zona di agio, come di ricevere in qualche modo una grazia. È accaduto quando sono stato un paio di notti al capezzale di mio padre che mi lasciava e lui in quelle due notti di delirio, uscito per una giornata dal coma, mi ha raccontato tutta la sua vita. Di quando andava a pascolare il gregge, dei suoi genitori. Mi stava inconsapevolmente consegnando la sua vita e non sempre conosciamo la vita dei nostri genitori fino in fondo, non perché non vogliano raccontarcela, ma perché spesso gli oneri non lasciano il tempo necessario per una confidenza tale. Mi colpì il fatto che lui fosse già dall’altra parte, che quelle cose le stesse già rammentando con i suoi fratelli già morti, con suo padre, ai quali diceva “vi ricordate come siamo stati?”. Conoscere un padre così è felicità.

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