domenica, Marzo 15, 2020

SIAMO ALLA FRUTTA – Mascherine fai da te, così i medici in prima linea combattono il coronavirus

L’emergenza-mascherine rende più urgente l’attesa dei nuovi dispositivi di protezione individuali (Dpi) per gli operatori sanitari in prima linea contro il Coronavirus

da Il Tempo.it del 15 MARZO 2020

di Daniele Di Mario e Antonio Sbraga

L’ordine dei medici di Roma denuncia che «l’attività di assistenza è resa difficile dalla carenza di Dpi da parte dei medici che operano sia nei reparti ospedalieri che sul territorio come medici convenzionati». E pure i sindacati dei camici bianchi e gli infermieri sono sul piede di guerra.

Anche il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (FdI), dopo aver visitato l’ospedale Sant’Andrea segnala la «disperata richiesta di dispositivi per la protezione individuale, in particolare mascherine, per chi è esposto in prima linea. Il 12% degli operatori si è già infettato e non sono certo sostituibili da persone prive di professionalità».

«La situazione è grave, il governo deve dirci ora è subito come sta provvedendo e quando riuscirà a fornire tali indispensabili dispositivi. L’ho chiestoconclude Rampelliper la seconda volta al ministro Speranza a nome di migliaia di medici e operatori sanitari, in taluni casi costretti a ricavare mascherine dalle lenzuola dismesse, ora abbiamo diritto a risposte certe e ufficiali».

Non solo lenzuola: il sindacato infermieristico Nursind le definisce «stracci per la polvere» le mascherine arrivate venerdì scorso al San Camillo, l’Ifo e nelle Asl Roma 2, 3 e 4, inviando una diffida alla Regione contro il loro uso. Perché «i dispositivi, oltre ad essere privi del marchio CE, sono prodotti con materiale dall’aspetto simile ad un notissimo panno per togliere la polvere a domicilio, con due buchi ai lati nei quali infilare le orecchie spiega il segretario provinciale, Stefano Barone – In Lombardia le stesse maschere chirurgiche sono state ritirate perché non omologate e quindi giudicate non idonee a proteggere gli operatori sanitari».

Il Nursind minaccia azioni legali: «Laddove le maschere non vengano ritirate e immediatamente sostituite con maschere chirurgiche più idonee ci troveremmo costretti denunciare il tutto agli organi competenti». Anche perché già «abbiamo ospedali carenti di gel igienizzante, con una sola maschera chirurgica data ad ogni operatore per turno conclude Barone Ma un turno è fatto anche di 12 ore. E ora ci mancavano solo le maschere evidentemente non idonee».

E, peraltro, neanche utilizzate per tutti i pazienti, come denuncia l’ex ministro della Salute, Francesco Storace. «La Regione Lazio sostiene che gli operatori sanitari devono utilizzare le precauzioni standard (tra cui l’uso della mascherina) per tutti i pazienti sia con infezione sospetta, sia infezione confermata. Vale a dire che negli altri casi non è indicato l’uso».

«Assurdocommenta Storace Per entrare nel supermercato occorre rispettare le distanze e indossare la mascherina, per assistere i pazienti in ospedale no». Anche la Cgil denuncia «l’insufficiente fornitura di idonei dispositivi di protezione individuale per il personale nell’Asl Roma 5: la cosa è evidentemente inaccettabile».

Mentre l’Anaao-Assomed Lazio paventa pure un «notevole aumento del rischio clinico per il lavoratore e per i pazienti, data la grave carenza di Dpi, di tamponi e il colpevole ritardo nell’eseguire e processare gli stessi», ha scritto il segretario, Guido Coen Tirelli, in una lettera inviata alla Regione. Alla quale chiede che «tutti gli operatori siano forniti di adeguati Dpi. All’interno delle Strutture Sanitarie oramai non è più possibile discernere chi è stato esposto da chi no. I medici e gli infermieri potrebbero diventare fonte loro stessi di infezione».

Per questo motivo Coen Tirelli propone che «il personale venga sottoposto dopo 48/72 ore a tampone e che il risultato sia prontamente disponibile (5-7 ore). Il ritardo sia nell’esecuzione che nella processazione del tampone ha risvolti colposi, poiché favorisce il contagio».

Lo stesso Ordine ricorda alla Regione che «già in molte zone il numero dei medici infettati sta diventando significativo e stiamo per ripetere, con gli stessi errori, quanto successo in Lombardia dove vi sarebbero centinaia di professionisti della salute contagiati. Tale grave situazione non può che compromettere l’efficacia dell’assistenza sanitaria regionale, resa ancora più drammatica dalla carenza di medici».

 

 

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