La Commissione dopo un anno di audizioni propone la definizione dei titoli generati su stringhe digitali (“Ico”), delle piattaforme di offerta e scambio, dei portafogli per custodirli. L’intento è ridurre le truffe, ma anche non restare indietro rispetto all’Europa
da La Repubblica.it Economia
di Andrea Greco
MILANO – Dopo nove mesi di confronto pubblico ecco il documento finale della Consob sulle “criptoattività”, ossia le raccolte di denaro che servono a finanziare progetti imprenditoriali con emissione e successiva offerta al pubblico di titoli (token) registrati su una stringa digitale. Una definizione già non chiarissima e sfuggevole, da non confondere con quella di criptovalute – la più famosa è il bitcoin – e la cui fumosità produce spesso frodi a danno dei malcapitati investitori.
Secondo uno studio pubblicato 11 mesi fa dall‘Esma, l’organizzazione delle authority di mercato europee che comprende anche Consob, circa due terzi delle “Initial coin offerings” sono semplicemente delle truffe.
Per ovviare al problema, e al contempo favorire la nascita di una normativa ad hoc in una nicchia del mercato digitale ad alto tasso di crescita, Consob si era mossa un anno fa ponendo alcuni paletti alla discussione, che è continuata nel 2019 dagli addetti ai lavori. “Con questa iniziativa autonoma Consob vuol mettere i pilastri di una materia di grande attualità e destinata a crescere di importanza – aveva detto il commissario Paolo Ciocca allora -. Vorremmo creare le premesse per una nuova norma, sia perché vediamo che in questa nicchia c’è movimento, sia perché vediamo forme di abuso, di patologia che supera la fisiologia”.
Dopo un primo documento aperto per la discussione, e un’audizione pubblica all’Università Bocconi del maggio scorso in cui c’erano oltre 200 partecipanti, sono pervenuti 61 contributi scritti, tra legali, operatori e associazioni di categoria come Abi, ItaliaFintech, Blockchain Italia, il gruppo Sia e la Borsa Italiana. Ora Consob pubblica sul proprio sito internet il rapporto finale sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività.
Come definirli, e quando ricadono nel quadro degli “strumenti finanziari” (per cui vale la normativa in vigore del Tuf e della direttiva Mifid)? Quando invece le “Ico” non sono strumenti finanziari, per cui serve una regolamentazione ad hoc? Cosa caratterizza le piattaforme dove sono offerte le nuove attività digitali (Ico)? Su quali basi articolare il loro scambio? Come deve essere il portafoglio digitale per custodire e trasferire le cripto-attività? Sono queste le principali domande a cui il documento cerca di rispondere, come “contributo al dibattito, elaborato in vista dell’eventuale definizione di un regime normativo in ambito nazionale che disciplini lo svolgimento di offerte pubbliche di cripto-attività e delle relative negoziazioni”.
La Commissione era e rimane convinta che sia rilevante, e urgente, tracciare “una disciplina specifica idonea a fornire un nuovo quadro di riferimento per operatori e investitori”, che integri il Testo unico della finanza e la direttiva Ue sugli investimenti. La mancanza di una normativa nazionale di rango primario (presente da tempo in Svizzera, e con meno completezza in Francia e in Germania) consente infatti non solo di limitare le promesse tipo “campo dei miracoli”, ma anche di arginare la concorrenza internazionale sui nuovi progetti che questa nicchia sforna, che anche nei Paesi europei citati ha già distaccato l’Italia per raccolta di fondi e varietà di tecnologie innovative.