mercoledì, Dicembre 11, 2019

[Il caso] I 49 milioni della Lega rispuntano dall’Associazione “Maroni presidente”. L’inchiesta sciupa la “festa” sul Mes

La procura di Genova indaga per riciclaggio il presidente Galli, assessore nella giunta Fontana. L’ipotesi è che l’associazione sia servita da copertura per far tornare i soldi. Indizi su 500 milioni. Oggi il voto in aula sul Mes. La maggioranza dovrebbe tenere. E restare a 161 voti

da Tiscali News.it di Claudia Fusani, giornalista parlamentare

Non hanno mai smesso di cercarli. Neppure dopo la sentenza della Cassazione che a settembre 2018 ha reso definitiva la condanna per truffa ai danni dello Stato e ha deciso la confisca dei 49 milioni di rimborsi elettorali ottenuti dalla Lega falsificando rendiconti e bilanci. Questi soldi sono spariti, la confisca no e via Bellerio ha dovuto accettare una restituzione a rate, 600 mila euro l’anno per 80 anni. Ieri una piccola parte di quei 49 milioni è spuntata fuori su conti correnti riconducibili al Carroccio attraverso l’Associazione “Maroni presidente”, un comitato elettorale che nel 2013 supportò la candidatura dell’ex governatore e segretario della Lega Roberto Maroni. Il quale, almeno per ora, è del tutto estraneo sia all’associazione che all’utilizzo di quei soldi. Ma la procura di Genova, titolare dell’inchiesta, ha riscontri del fatto che nell’aprile del 2012, quando Umberto Bossi (imputato per truffa e poi prescritto per un giorno) lasciò la segreteria e passò la mano a Maroni travolto dallo scandalo dei rimborsi elettorali spesi e investiti illegalmente nei modi più disparati, quei soldi risultavano ancora sui bilanci.

Voci di una svolta giudiziaria

Da tempo indiscrezioni sussurravano di un imminente colpo di scena nella ricerca dei 49 milioni della Lega. Anche per questo il 21 dicembre, alle 8 e 30 del mattino del sabato prima di Natale, è stato convocato il congresso straordinario per comunicare “importanti novità nello statuto”. In sostanza la morte della Lega Nord, la nascita di una bad company affidata a qualche commissario, e il via libera a Lega Salvini premier. Senza più il Nord e soprattutto libera dai pasticci contabili, se così si vogliono chiamare, della Lega Nord che dal 21 dicembre sarà quindi abbandonata al suo destino. Ma la svolta è arrivata prima, forse non per caso. Infastidisce senza dubbio la marcia di Salvini per la conquista dell’Emilia Romagna e della Calabria. Capita a fagiolo visto che domani in aula al Senato sarà di scena il dibattito sul finanziamento ai partiti, pubblico e privato, e sulla regolamentazione delle lobby richiesto dal leader di Italia Viva Matteo Renzi dopo le indagini sulla Fondazione Open, la cassaforte del renzismo.

Il canale dell’Associazione

L’ipotesi del procuratore aggiunto di Genova Francesco Pinto e del sostituto Paola Calleri è che parte dei 49 milioni di quei rimborsi elettorali siano rientrati in Italia su conti riconducibili al Carroccio attraverso l’Associazione “Maroni presidente” presieduta dall’assessore all’Autonomia e alla cultura della Regione Lombardia Stefano Bruno Galli. Galli, l’ideologo della Lega dopo Gianfranco Miglio, è l’unico indagato di questa nuova tranche. L’ipotesi nei suoi confronti è riciclaggio. La Guardia di Finanza ieri mattina si è presentata nella sua abitazione e nei suoi uffici a Milano, Monza e Lecco e presso due società, la Boniardi Grafiche e la Nembo srl. La prima è riconducibile al deputato leghista Fabio Massimo Boniardi. La seconda ha cessato le attività a luglio. Entrambe hanno prestato i loro servizi per le campagne elettorali leghiste.

L’assessore lombardo avrebbe compiuto una serie di operazioni “su una parte delle somme provento dei reati ex articolo 640 bis” (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) commessi da Umberto Bossi e dall’ex tesoriere Francesco Belsito attraverso l’Associazione “Maroni presidente”. I finanzieri hanno ricostruito in particolare i passaggi relativi a circa 450mila euro: da Banca Aletti (sede di Milano) i soldi sarebbero finiti all’Associazione e da qui, tramite di Galli, formalmente usati per la campagna elettorale, in realtà mai spesi e girati su conti correnti riconducibili al Carroccio.

Secondo la procura, parte dei 49 milioni sarebbero stati fatti sparire in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura. La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero dello stesso istituto e dunque slegati dal partito.

Esposti e gole profonde

La pista tedesca era stata indicata con esposti e denunce tra la sentenza di secondo grado (2017) e la condanna definitiva (2018). A giugno è stato sentito a Genova come persona informata sui fatti l’ex consigliere della lista Maroni Presidente, Marco Tizzoni. In un esposto aveva suggerito che l’Associazione “fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”.

Prima ancora (fine 2017) c’era stato l’esposto di Stefano Aldovisi, il commercialista della Lega, in cui venivano ricostruiti alcuni movimenti di denaro dopo lo scoppio del caso Belsito (2012). In particolare Aldovisi parlava di 19,8 milioni di euro in liquidità e titoli trasferiti a inizio 2013 dalla filiale Unicredit di Vicenza e dalla sede milanese di Banca Aletti ad un altro istituto. Ovvero la filiale milanese della Cassa di risparmio di Bolzano (Sparkasse).  Dunque, quel conto corrente sarebbe stato aperto ai tempi di Maroni segretario e poi chiuso da Salvini nel 2014.

Maroni si chiama fuori

Maroni ieri ha parlato via Facebook per ricordare “di non avere avuto alcun ruolo gestionale nè operativo nella Fondazione”. E ha anche voluti precisare di essere “certo della correttezza della gestione da parte del presidente e dei consiglieri”. Quindi di Galli e dei suoi collaboratori (nessuno di loro è indagato) tra cui il senatore Stefano Candiani, ex sottosegretario all’interno, uomo di fiducia di Salvini, Ennio Castiglioni, direttore generale dell’assessorato di Galli e promotore del comitato per il NO al referendum sulla riforma costituzionale di Renzi e Andrea Cassani, sindaco leghista di Gallarate, già indagato per turbativa d’asta in uno dei filoni di inchiesta che ha portato alla luce il sistema di tangenti e nomine pilotate dall’ex coordinatore di Forza Italia a Varese Nino Caianiello.

Il Congresso del 21 dicembre

Non c’è mai un momento giusto per un’indagine. L’elettorato leghista si è poi sempre mostrato impermeabile alla storia dei rimborsi, cioè soldi pubblici, spariti dai conti correnti. Salvini, senza dirlo esplicitamente, gioca sul fatto che lui non era ancora segretario e quindi “subisce” questa faccenda tanto da voler liquidare la Lega Nord il prossimo 21 dicembre. Fine ingloriosa del partito più “anziano” tra quelli presenti in Parlamento.    

Questo ulteriore sviluppo di indagine arriva però in un momento delicato per i tanti fronti su cui Lega e Salvini sono impegnati per riuscire a dare la spallata finale al governo Conte e portare il Paese al voto. Da oggi al 26 gennaio si aprono sei “finestre” utili a far cadere il governo.

Il voto sul Mes

Si comincia oggi con il voto sul Mes, il fondo salva stati europeo su cui Salvini ha incendiato un mese di polemiche. Gratuite. Ma tant’è, qui siamo: la firma è stata posticipata alla primavera 2020, il contenuto non potrà essere toccato mentre sarà possibile – e questo sì è molto importante – intervenire sulle parti allegate al Mes e più in generale sugli altri aspetti del progetto di unione bancaria europea.  Oggi il premier aggiornerà sullo stato dell’arte (su quali punti intervenire, in quale modo, e quando) e poi saranno messe al voto alcune risoluzioni. La maggioranza avrà la sua risoluzione unitaria, uno di quei testi che però non viene mai chiuso perché tutto serve per tenere buoni i più allergici al Conte 2 e contare un voto in più o in meno. Ieri sera alle 19 sembrava che la risoluzione fosse chiusa e approvata ma i 5 Stelle hanno rilanciato ancora una volta.

Dopo una giornata intera di riunioni. I pentastellati non gradirebbero l’accenno alla necessità di procedere “in modo progressivo” riguardo la“logica di pacchetto”. In quel “progressivo” vedono una possibile trappola. Di Maio e’ stato più volte applaudito nelle assemblee a palazzo Madama, specie quando ha ripetuto che questo meccanismo europeo di stabilità, così come è stato concepito, non piace a nessuno ma ha sottolineato che è inutile alzare ora le barricate, meglio prendere tempo e attendere che magari altri Paesi si schierino al fianco dell’Italia.

Obiettivo 161 voti

Tutto rinviato a stamani. I mediatori, il ministro per gli Affari europei Amendola e la vice grillina Agea, depositeranno il testo stamani alla Camera e al Senato. Se così non fosse, il problema per il Conte 2 diventerebbe molto serio. La risoluzione finale dovrebbe essere un testo molto semplificato che ruota attorno alla necessità che il Parlamento venga coinvolto nella decisione finale.

Dopo l’alta tensione della scorsa settimana, il dossier Mes sembra essersi un po’ sgonfiato e non dovrebbe più rappresentare una minaccia per la maggioranza. Quella sulla risoluzione resta comunque un voto con un alto tasso di valore politico. Il Senato è come sempre la prova della verità. Oggi Conte ha bisogno di una maggioranza semplice (tutto dipende quindi dal numero dei votanti) ma è chiaro che andare sotto la soglia dei 161 voti (la maggioranza assoluta) sarebbe psicologicamente un brutto segnale per Conte e una bellissima notizia per Salvini. Tra i 5 Stelle si contano 5-6 parlamentari contrari alla linea tracciata. Si fanno i nomi di Grassi , Paragone, Lucidi ma i critici sarebbero molti di più. “Stiamo stravolgendo il nostro programma elettorale” spiega da giorni Paragone “se anche il Movimento decide di stare da quella parte, significa che ha deciso di diventare europeista e non siamo arrivati in Parlamento dicendo questo”. Ecco che allora potrebbe essere conveniente per tutti giocare sulle assenze, una ventina almeno sto tra i 5 Stelle per abbassare il quorum.

I dubbi di Forza Italia

Occhi puntati però anche sulle opposizioni. E su Forza Italia. Non è detto che le opposizioni convergano compatte su un testo unico. Anche tra gli azzurri sono parecchi quelli che non gradiscono la svolta sovranista di un voto contrario al Mes. Passato questo voto, la maggioranza potrà concentrarsi sulle altre strettoie imminenti della legislatura. Una su tutte: la prescrizione che il ministro Bonafede vuole che entri in vigore il primo gennaio. Il Pd e Italia viva sono invece pronti a fare le barricate.

11 dicembre 2019

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